venerdì 15 gennaio 2016

Fiorire in gennaio.

E' così. Rileggendo le cose scritte in questi giorni forse capirete qualcosa di più delle parole che erano state scelte. 
Quello da qui voleva essere un abbraccio per chi piano piano sapeva, e una coccola per chi avrebbe poi saputo, quel qualcosa che senza saperlo preparasse se vi fosse stato un qualcosa a cui prepararsi.
C'è il tempo del ricordo. Il nostro è intimo, diverso per ognuno. Nasconderò anche qui cose piccole, indizi che forse solo tu potrai capire, una dose di reale e tre di magia.
Me lo hai insegnato, io le risposte le cerco nei nostri libri. Mi sono imbattuta in una frase di Winnie Pooh che diceva “Se tu vivessi fino a cent’anni, vorrei vivere fino a cento meno uno così non dovrei mai vivere senza di te.” Scuoto la testa al caso , per te avrebbe dovuto andare qualche pagina avanti, alla riga dove dice “Quanto sono fortunato ad avere qualcosa che rende difficile dire arrivederci.”

Chi capita nelle nostre pagine sa benissimo chi era Gianna, sorridente e ostinata, ironica e dalla memoria elefantesca, . Terribilmente e splendidamente Viva. 
Quando pochi giorni fa avevo scelto la poesia di Silvia Vecchini era perché le sue scale nella notte, nella mia testa, erano le scale della libreria il lunedì, ed erano le scale di Montale. Mentre inanellavo pensieri e parole non sapevo cosa stava accadendo lontano. 
Scelsi altre parole di aria per preparare al silenzio. 

Siamo tutti qui Gianna, testardi quanto te, quanto voi, che da testardi incoscienti avete aperto e che ci avete detto poi di non farlo, e sorridevate complici a scoprirci testardi andare avanti, ribelli persino a voi.

Cosa bella, quei gradini di cui parla Montale sono tornati nei pensieri di molti di noi, quelli che ogni mese si ritrovano a tessere questa coperta di storie iniziata da Gianna e Roberto. 
Pochi sanno che in una casa milanese ora silenziosa quella poesia ha, o almeno aveva alcuni anni fa, un segnalibro a tenerla a portata di mano, se non lo troveranno forse vorrà dire che sarà scivolato a mettere il segno a distanza in altre copie nelle nostre mani:




Grazie Gianna, dei tuoi occhi limpidi, 
di averci insegnato a guardare, 
della coperta che ci hai dato per scaldarci dal freddo di inverni come questo. 
Tu sorridi, lo sappiamo, come Proserpina già pensi che un inverno porta il fiorire dei crochi. 
Nei boschi del Friuli una volta mi hai detto che quei crochi fiorivano, inconsapevoli del terremoto che aveva provato a distruggerli, quarant'anni fa, un modo per raccontarmi la differenza con gli uomini, e che il vostro scegliere di sposarvi lì era per essere un po' come i crochi, far primavera in quello che era un inverno delle vite.

Non tutti i bambini di domani sapranno che se siamo lì ad incontrarli vostro è il merito, ma fioriranno di storie così come hanno imparato a camminare, è una promessa.
Come noi abbiamo imparato standovi accanto. 
Scendendo le scale.
Vivendovi. 
Una fortuna invidiabile la nostra. 





mercoledì 13 gennaio 2016

A quest'ora della notte... di silenzi e discese nella miniera della notte

A quest'ora della notte il mondo è addormentato. 
I librai spesso sono svegli, ironia di un lavoro che ti concede di incontrare le storie spesso solo a tarda notte.

In questo attimo ovattato che una volta Dahl chiamò l'ora delle Ombre mi fermo a gustare la notte e il suo esistere, 

a quanti fanno notte del giorno, 
a chi è sceso nella miniera della notte. 

Rubo le parole per nominare a Silvia Vecchini, perché d'altronde erano Poesie della notte, del giorno e di ogni cosa intorno (Topipittori), accompagnate dalle tavole di Marina Marcolin:

Sono a letto.
È scuro fuori, in casa tutto spento:
scendo con l’ascensore lento
nella miniera di carbone della notte.
Mi addormento. Voglio andare
giù piuttosto che salire,
dondolare come una moneta
nell’acqua della fontana
finire in fondo,
scendere le scale che ho dentro
e perdermi un poco se è profondo




Di qui a poco i miei pensieri andranno a quella che un giorno Silvia Vecchini in un bellissimo albo ha chiamato La mia invenzione, illustrazioni di Maria Giron, edizioni Corsare. 
Il silenzio. 
Invenzione, a volte conquista, altre terreno di rabbie più o meno sopite, di dubbi o di bellezza, uno spazio abitato destinato a incontri, densi di non detto o socchiusi su serenità di chi è capace di comprendersi con uno sguardo. 


Quello dei fiori, addormentati e chiusi in attesa. Cantati da voci, mescolati nei profumi. Densi di vita, di passione, di esistenza, pur sapendo che la loro sarà breve, il tempo di una stagione, ma cullati dalla bellezza.




Ci sono silenzi densi, abitati appunto, enormi. Il silenzio del mare direbbe Vercors, capace di inghiottire barche e vite ed essere ancora meraviglioso.
 E silenzi rari, unici, sottili.  Fatti della stoffa del vento e della memoria, fatti del suono di un respiro o della sua assenza. Quei silenzi che significhiamo di ricordi. Il silenzio del cappello di Granpa' (Camelozampa) che scivola sulle acque del lago, un silenzio fatto di presenza, il silenzio del nonno de L'Africa, piccolo Chaka (Ippocampo), fatto di rumore in realtà, fatto del suono del vento fra le foglie. Due silenzi che mi hanno sempre riportato a un pezzo di Tiziano Terzani

E ricordati, io ci sarò. Ci sarò nell'aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.

C'è il silenzio leggero di una sorta di passo in punta di piedi in queste parole spiate da altre vite. C'è un silenzio di discrezione, come quando fra le righe nascondi parole che possano essere di cura per chi legge, trovate in tasca come un segreto, come quando ti trovi a spiare una creatura muoversi nella neve, il silenzio perfetto della forma e del colore, o un gigante infilare una tromba e soffiare qualcosa senza emettere alcun suono nella vostra stanza. E così all'ora delle Ombre spero ancora che ci sia qualche GGG che soffi sogni nei vostri sonni.
Qualche amico insonne sarà forse sveglio a scrivere, lei che normalmente è sveglia, giusto per far la solita bastian contrario, ora è addormentata. 
Serve qualcosa che accompagni, 
qualcosa 
per dire, in ogni istante, sogni belli.
Per oggi, e ogni domani.


v.s.

domenica 10 gennaio 2016

Attese e stelle, granate e lettrici


Avete mai guardato questi cieli di inverno? Uno di quei cieli i cui le stelle sono così limpide da entrarti negli occhi? Avresti voglia di tornare a casa e tuffarti nei mille significati che gli uomini sono arrivati a dargli. ( Puoi sempre decidere di farti una cioccolata calda, a casa, al caldo, e aprire un libro come Storie dalle stelle,  di Susanna Hislop, Ippocampo, dove le stelle ti vengono raccontate in un incrocio fra scienza e mito, e perderti fra numeri e parole.).
Poi passa una stella cometa di quelle invernali, vive, veloci, bianche come una scintilla, forse sarai così veloce da esprimere un desiderio, e passerai il tempo successivo in quella magica attesa di tempo sospeso che tu gli hai dato. Un tempo di attesa è capitato a tutti, quando aspetti un momento o una risposta, che sia qualcosa che chiamerai buona o cattiva notizia il tempo dell'attesa è qualcosa di diverso, scorre in modo diverso. 
E' quel tempo che ti fa guardare dentro e cercare risposte che forse non potrai mai avere, puoi essere un bambino in attesa di un giorno speciale, come Natale, e capitarti quel piccolo dubbio atroce che magari possa non passare l'essere magico di cui ti hanno raccontato, puoi essere adolescente o adulto innamorato che guarda il telefono in attesa di un segnale, può capitare di rimanere a pensare ed aspettare una decisione, una notizia incerta, o essere in attesa di quella idea giusta per cominciare qualcosa di nuovo.

Avevamo chiuso l'anno con un numero di Librai ragazzi e libri che parlava tanto di attese, con il ritorno di Io aspetto ( e per chi mastica il francese e il digitale sapete che ne esiste la App? ) e eccoci a riaprire l'anno nuovo, ognuno con le proprie attese.
Poco prima di Natale mi è capitato uno di quei momenti magici, in cui parli di libri con qualcuno, e quel qualcuno, un gruppo di ragazze sui sedici anni piene di vita, hanno iniziato una accesa discussione sul senso di raccontare con linguaggi diversi, su cosa tieni e cosa lasci. A proposito di cieli, a proposito di attese, la discussione è andata su Colpa delle stelle, un film e un libro di cui tutti hanno parlato, sempre e solo concentrandosi sulle difficoltà, proprie di ognuno, di fare i conti con la malattia. 
Anna mi guarda con gli occhi verdi e vivi, le guance rosse quasi arrabbiate, mi dice quello che mi spingerà a darle ragione, ad andare a vedere io stessa il film. Mancano le attese, le pause, i tempi lunghi e sospesi, quelli dell'amore che nasce e quelli del distacco. Manca il tempo di quell'attesa che hai quando aspetti che una persona si svegli, quando non sai se uscirà fuori da quella sala di ospedale. Manca l'attesa perché anche quando stanno ad aspettare chi scriverà per primo è tutto raccontato troppo veloce. Capisco, penso alle attese personali di questi giorni, notizie, sensazioni, amiche ben più grandi di quelle ragazzine alle prese con le stesse attese telefoniche, più smaliziate forse ma con le stesse bellissime farfalle allo stomaco di una quindicenne. 
Manca che mi dia il tempo di entrarci dentro aggiunge E. , ed ha ragione. Nel libro divieni lei o lui, persino i genitori, costruisci quella che nei corsi chiamerei l'empatia, qui divieni lo spettatore. 
E poi è troppo veloce tutta la questione della granata. aggiunge M. tirandosi indietro il ciuffo di capelli rossi, e se non dai il giusto spazio a quella perdi il senso.
A casa giorni fa mi sono ritagliata quel tempo giusto. M. ha ragione. La questione granata nel senso del vivere è fondamentale. E' una forma di risposta. Quanto rischi di te.. quanto sei disposto a dare. Puoi conoscere qualcuno che è una granata come lei, la protagonista, e scoprire che il mondo può riservarti uno scoppio diverso, cambiare le carte, scombinare tutto da un momento all'altro. La granata ha la voglia di vivere dentro però, ha un anello di resistenza, e se non mettono la questione della granata che in pochi secondi di film, allora si che stanno raccontando solo una storia di malattia.
In rete ci sono centinaia e centinaia di pagine di questo libro fotografate, di parole riscritte, di pensieri rimbalzati, eppure quello che permane è la vita. Guardi M. e il suo ciuffo e sorridi

E' il dieci gennaio, sulla finestra, a fianco alla libreria c'è una coccinella. 
Sa benissimo che fuori è freddo, eppure ora è posata sulla mia rosa di natale.
Più o meno quello che fa una granata quando decide di continuare a stare nel mondo. 
Sorriderà, e farà meno sconti alle ipocrisie del mondo intorno, perché è innamorata della vita vera.
Quante granate avete conosciuto? Ne abbiamo incontrate di straordinarie, splendenti, granate capaci di intraprendere viaggi sui passi di Robinson Crusoe dichiarando al mondo di essere vive o di cucire coperte di stelle. 
Ecco, quelle granate che sono nelle nostre vite, quelle sono a volte le nostre stelle comete. Ci sono persone che può esservi capitato di incontrare di sguincio, ma la cui risata, l'occhio vivo, rimane dentro, e così anche quando sei in attesa a guardare dove finirà il suo volo lo sai, ci sono davvero delle Stargirl, come direbbe Spinelli. Eppure quando chiedevi a Spinelli chi fosse la sua Stargirl, rispondeva sua moglie. Non qualcuno passato in modo fugace nella sua vita, ma qualcuno che ogni giorno gli faceva brillare gli occhi. Ho conosciuto solo due uomini che mi diedero la stessa risposta: uno era un calzolaio-pescatore veneziano, che mi ha dato forse la vera idea dell'amore, l'altro è l'uomo che mi ha insegnato il pensiero più alto rispetto al lavoro di libraia, ma più in generale rispetto al bambino, e teneva la foto di una bambina, nel portafoglio, divenuta poi una giovane donna conosciuta in viaggio in Mongolia. Due saggi, capaci di vedere davvero le stelle vicino a loro, e tenerle strette. 
Ode alle stelle e a chi è capace di guardarle e tenerle accanto, e alle granate, che scoppiano o che resistono. 
E alle giovani donne come queste che da un libro o da un film riflettono sulla vita, e si arrabbiano, e parteggiano e sorridono con le chiome di stelle come Berenice.
Se andate a vedere le trovate le stelle della chioma di Berenice, fra la costellazione del Leone e Arturo, sono tre , come le mie tre lettrici, ma sono anche un ammasso di stelle doppie e a variabili, come i ricci di M. 
e io qui?
Io aspetto, nell'attesa che la coccinella si risvegli. 
E se vi sembra un messaggio da Radio Londra forse un po' lo è, ma siamo una genia di librai partigiani, e ci sono parole segrete anche per le nostre attese.
Buona attesa della notte ai vostri occhi per vedere le stelle, e buone stelle-attese ai vostri pensieri.

v.s.